Capitolo 3: Tempio abbandonato

Capitolo 3: Tempio abbandonato – Se la corte imperiale era una fiera della vanità, Jianghu (*) era un campo di battaglia tra giusto e sbagliato, tra bene e male.

 

 

Arrivato a quel punto della sua vita, a Zhou Zishu non importava più di niente: dopotutto, aveva fatto e visto di tutto in questo mondo nel corso degli anni e, adesso che conosceva il corteggiamento della morte, la volgarità del pescatore gli scivolò addosso mentre mangiava.

La barca con il tendalino navigava sul fiume, separando silenziosamente le sue acque. Dall’altra parte del fiume, una giovane gridò: «Castagne d’acqua (*), vendo castagne d’acqua!»

Fu come se il tempo rallentasse, scorrendo lentamente nello stesso modo in cui fluiva il fiume. “Anche se dovessi morire qui, ne valeva davvero la pena”, pensò Zhou Zishu.

(N/T: Castagne d’acqua: sono simili a radici, appartengono ad una pianta erbacea tipica dell’Asia, dell’Australia, dell’Africa tropicale, di alcune isole dell’Oceano Pacifico ed altre dell’Indiano. Sono piccole e di forma arrotondata; la buccia è color bruno lucido, mentre la polpa è bianca e di consistenza croccante. Possono essere consumate crude, leggermente bollite o alla griglia e talvolta sono conservate sfuse in salamoia o sigillate in barattolo.)

Il pensiero lo aveva già attraversato in passato, quando si trovava nel bel mezzo della visita alla leggendaria Montagna degli Immortali di Penglai (*), ma poi si era ricordato di non aver ancora visitato la umida e piovigginosa Jiangnan e di non aver mai visto la sua fantastica fioritura; così, si era diretto a sud e quel pensiero era ora riemerso all’improvviso mentre si trovava lì. Un’emozione sconosciuta era sorta dentro di lui. Diede un morso alla torta secca e dura che aveva in mano, masticò a lungo e infine inghiottì con poca difficoltà. Voltò poi la testa da un lato all’altro, in contemplazione, mentre pensava; aveva appena concluso il suo viaggio attraverso Jiangnan, ma c’erano ancora le Tre Montagne e le Cinque Montagne Sacre (*) da vedere. Fermarsi lì sarebbe stato davvero un peccato.

(N/T: Montagna degli Immortali: anche “Monte Penglai” <蓬莱山> o “Isola Penglai” <蓬莱仙岛>. E’ una terra mistica di cui si narra nella mitologia cinese. Il monte è situato su un’isola presso il limite orientale del Mare di Bohai, insieme ad altre quattro isole dove vivevano gli Immortali. La montagna è la sede degli Otto Immortali, o almeno il luogo dove essi si recano per consumare un banchetto. Presumibilmente, la montagna sarebbe completamente bianca, mentre i palazzi sarebbero fatti di oro e platino e sugli alberi crescerebbero gioielli. Lì non esistono dolori e inverni; ci sono palle di riso e bicchieri di vino che non si esauriscono mai, non importa quanto le persone li mangino e bevano; sono inoltre presenti frutti magici in grado di guarire qualunque malattia, dare eterna giovinezza e persino resuscitare i morti.

Le Tre Montagne e le Cinque Montagne Sacre: si riferisce alle tre famose montagne: Huangshan, Lushan e Yandangshan; e alle Cinque Montagne Sacre: la Grande Montagna Orientale Taishan, la Grande Montagna Occidentale Huashan, la Grande Montagna Meridionale Hengshan <in Hunan>, la Grande Montagna Hengshan Settentrionale <nello Shanxi> e la Grande Montagna Centrale Songshan.)

Quindi, abbandonò ogni pensiero sull’attendere la morte in quel luogo.

Improvvisamente, il vecchio pescatore sembrò come soffocare con la sua stessa saliva. Smise di imprecare e inarcò la schiena, la testa leggermente inclinata, mentre guardava in una direzione imprecisata senza battere ciglio.

Zhou Zishu era curioso, quindi sporse un po’ fuori la testa dal tendalino della barca e seguì il suo sguardo.

Si accorse che gli occhi del pescatore erano fissi su due persone che camminavano lungo la riva del fiume: si trattava dell’uomo vestito di grigio e della bella ragazza in viola che aveva incontrato alla taverna. Sebbene il pescatore fosse vecchio, era eccezionalmente perspicace. Guardandolo attentamente, notò le tempie sporgenti (*) nascoste sotto la massa dei capelli, le mani grandi e forti, le ossa robuste e i muscoli contratti. Zhou Zishu non era ancora cieco e intuì che in quel vecchio ci fosse palesemente molto più di quanto non desse a vedere.

(N/T: Tempie sporgenti: un tempo si credeva che gli uomini con le tempie sporgenti fossero più attenti, perspicaci e capaci nella finanza.)

Anche il suo confidente e la ragazza vestita di viola, che il vecchio stava osservando da lontano, non dovevano essere semplicemente una coppia di persone comuni, dato che lo avevano messo in guardia.

La bella ragazza era vivace e camminava saltellando a circa dieci passi dietro l’uomo (*), senza osare oltrepassare quel confine.

(N/T: Dieci passi: nel testo originale “zhang”, è una misura di lunghezza. Uno zhang corrisponde a circa 3,3 m.)

A Zhou Zishu bastò uno sguardo per capire che quella ragazza doveva essere una serva o una concubina dell’uomo vestito di grigio; sebbene quella ragazza fosse un po’ selvaggia, possedeva una bellezza che lui apprezzava molto ma, alla fine, apparteneva già a qualcun altro. Così, smise di pensarci e distolse lo sguardo, riportandolo sulla torta secca che aveva in mano e stava cercando di mangiare.

Era Jianghu, dopotutto; l’ambiguità tra giusto e sbagliato era uno dei suoi punti fermi. Se la corte imperiale era una fiera della vanità, Jianghu era un campo di battaglia tra giusto e sbagliato, tra bene e male. Ci sarebbero sempre state, però, alcune persone che non lo avrebbero capito, pensando che vagare per il mondo con in mano una spada fosse fantastico, fino alla morte.

Ma, ad ogni modo, come avrebbe potuto tutto ciò interessare una persona sazia come lui, la cui intera famiglia non aveva più fame? (*)

(N/T: Persona sazia: “sazia”, in questo caso, è sinonimo di “stufa”, “esausta”, “stanca”. Una persona che non riesce più a sopportare nulla.

La cui intera famiglia non aveva più fame: le persone morte non hanno più fame, con questo intende quindi dire che la sua famiglia è morta.)

Zhou Zishu si sentiva un po’ annoiato da quando il pescatore aveva smesso di imprecare, quindi lo pungolò: «Laozhang, a questa torta manca un po’ di sapore. Non avrebbe avuto importanza che fosse sale grosso o fino, ma avreste dovuto metterne di più.»

Il pescatore imprecò ferocemente: «Figlio di una buona donna! Neanche con una torta così grande in bocca riesci a stare zitto? Piccolo bastardo ingrato! Ti farò morire di fame per tre giorni, sta’ poi a vedere come mangerai anche della merda senza lamentarti!»

Nel momento in cui aprì bocca, sembrò non essere più intenzionato a fermarsi. Zhou Zishu rise, mordendo la torta secca con vigore, sentendosi un po’ preso di mira.

La traversata del fiume costava solo poche monete di rame, ma Zhou Zishu diede generosamente al pescatore uno yinzi d’argento. Quest’ultimo non si vergognò affatto nel prenderlo e si allontanò con in volto la stessa espressione di un creditore insoddisfatto. Non appena raggiunsero l’altro lato, il pescatore lo sospinse fuori dalla barca con urgenza: «Muoviti ad andartene, non farmi perdere tempo! Ho affari molto importanti da sbrigare.»

Zhou Zishu finì con calma l’ultimo pezzo di torta che aveva in bocca, poi si allungò ed uscì dall’abitacolo della barca, dicendo vagamente mentre masticava: «Avete fretta di reincarnarvi?» (*)

(N/T: praticamente lo sta stuzzicando, perché per potersi reincarnare dovrebbe prima morire.)

Gli occhi del pescatore si spalancarono, diventando della stessa grandezza di un paio di monete di rame; l’uomo avrebbe davvero voluto maledire quella persona e almeno diciotto generazioni di antenati della sua famiglia ma, dopo essersi ricordato di qualcosa, ricacciò indietro le parole e andò via con la sua barca, remando con rabbia.

Non sapeva cosa ci facesse lì quel vecchio, ma era un bene che la sua identità di pescatore fosse falsa; se davvero si guadagnava da vivere traghettando, a quest’ora non avrebbe dovuto essere così povero da rimanere senza pantaloni?

Osservando la barca che si allontanava, Zhou Zishu mormorò pigramente un concentrato genuino di assoluta eccellenza letteraria: «Vaffanculo!»

Per metà della sua vita si era mescolato al lato colto ma degenerato della società, un’insieme di feccia che si esprimeva fingendo di essere gentile; mai una parola rude sfuggiva loro di bocca. Perciò, in quel momento, dopo aver sbottato con una parola del genere, si sentì incredibilmente felice. Fu come se tutti quegli anni che aveva passato a reprimere le sue frustrazioni nel cuore fossero svaniti completamente.

Fu sorpreso di scoprire che imprecare fosse una cosa così piacevole, quindi sorrise e mormorò di nuovo: «Vecchio bastardo mangia merda! Non sai nemmeno fare bene il tuo lavoro, ma ti sei preso il mio denaro!»

Dopo aver detto quella frase, e aver rimuginato sulle parole, sentì che essa aveva un sapore ancora più dolce e persistente; ciò risollevò notevolmente il suo umore, così, soddisfatto, si incamminò lungo la riva del fiume.

Zhou Zishu vagò in lungo e in largo per tutto il giorno e, al calar della notte, raggiunse la periferia della città. Trovò un piccolo laghetto e si lavò a fondo perché lui stesso riusciva a malapena a sopportare il proprio odore, doveva almeno sembrare una persona, dopodiché pensò di trovare un posto dove passare la notte. Camminò per circa un miglio, proseguendo in quella direzione, prima di trovare un tempio abbandonato in rovina. Entrò e distese la paglia, facendosi un letto sotto i piedi della statua del Buddha, poi sbadigliò e si addormentò.

Anche se ora era privo di preoccupazioni e avrebbe potuto dormire tranquillamente, indisturbato, fino all’alba del giorno seguente, fu svegliato nel cuore della notte da alcune voci e dal rumore di passi poco distanti.

Le sagome di tre persone apparvero davanti alla porta del tempio abbandonato, portando con loro un odore di sangue che raggiunse il volto di Zhou Zishu, spingendolo ad aprire gli occhi e accigliarsi.

L’uomo ferito indossava un cappello e Zhou Zishu non riuscì a capire se fosse cosciente o meno. La sua intera persona era sostenuta da un ragazzo nel pieno della sua adolescenza, che doveva avere quattordici o quindici anni. Il giovane sembrava possedere qualche abilità di base nelle arti marziali, ma la sua energia era ancora debole e instabile. Ansimava come una vacca malata (*), mentre lottava strenuamente per sostenere la persona ferita. Accanto a loro c’era un’anziana donna vestita da domestica, che aveva barcollato dietro di loro per tutta la strada, stringendo una borsa di stoffa tra le braccia.

(N/T: Ansimava come una vacca malata: intende che aveva il fiato corto.)

Quando il giovane attraversò la porta del tempio, guardandosi attorno con cautela come un animale spaventato, non notò Zhou Zishu, poiché quest’ultimo era nascosto dall’ombra proiettata dalla statua del Buddha ed il suo respiro era estremamente leggero. In un primo momento, il giovane non gli prestò attenzione e sussurrò all’uomo con il cappello: «Zio Li, nascondiamoci qui per un po’. Fammi dare un’occhiata alla tua ferita…»

Prima che potesse finire di parlare, l’anziano uomo rifiutò il suo aiuto e si alzò coraggiosamente in piedi per salutare (*) Zhou Zishu: «Ah… Questo amico…»

(N/T: Bàoquán: è un gesto che si usava come saluto, per congratularsi, dire addio o in segno di rispetto. Consiste nello stringere il pugno nell’altra mano, aperta, davanti al petto.)

Quando alzò la testa, si interruppe e a quel punto anche Zhou Zishu poté vedere chiaramente che quell’uomo era il vecchio pescatore che lo aveva traghettato. Sul suo petto e sulla sua schiena c’era una ferita da spada, che inzuppava il suo corpo di sangue. Zhou Zishu si mise subito a sedere dritto: «Siete voi!»

L’anziano pescatore fece un sorriso ironico: «Accidenti, è quello che mendicava il riso…»

Prima che potesse finire di parlare, cadde in avanti e il ragazzo si affrettò a tendere le mani per sorreggerlo, ma, poiché era esausto, cadde a terra con lui e gridò tra le lacrime: «Zio Li!»

Il corpo del pescatore ebbe uno spasmo. Zhou Zishu non poté fare a meno di sporgersi in avanti per esaminare la ferita e si accigliò quando notò che il sangue fuoriusciva da essa mescolato ad uno strano liquido di colore viola, le sue labbra erano mortalmente pallide.

Il vecchio pescatore cercò di sorridere e disse a bassa voce: «Cazzo, non sei già un uomo? Da dove viene tutto questo piscio di cavallo (*)? Io… io non sono ancora morto…»

(N/T: Piscio di cavallo: cioè, lacrime.)

Anche la donna, che era rimasta in disparte ad asciugarsi le lacrime, disse: «Anziano Li (*), se voi moriste, chi aiuterebbe il nostro Giovane Maestro ad andarsene?»

(N/T: Dàyé: modo rispettoso per rivolgersi ad un uomo anziano.)

L’anziano pescatore la fissò, fece un respiro profondo e disse al giovane con voce tremante: «Io… io sono solo un uomo indegno… ricevetti il favore di tuo padre, un tempo, e da allora sono in debito con lui, ma a parte la mia stessa vita non ho nient’altro con cui ripagare questo debito…» tossì ed il suo corpo ebbe un nuovo spasmo: «Ragazzo, ricordati…»

Non riuscì a dire al ragazzo cosa doveva ricordare, poiché si udì nuovamente rumore di passi al di fuori del tempio e, subito dopo, un uomo vestito di nero entrò velocemente dalla porta; non si era nemmeno preoccupato di coprirsi il volto, sul quale c’era una cicatrice. Quando vide che quei tre erano finiti in un vicolo cieco, arricciò le labbra in un ghigno soddisfatto, identico a quello di un gatto che aveva appena catturato un topo: «Molto bene, siete riusciti a fuggire e ad arrivare così lontano.»

Il giovane strinse i denti, estrasse una spada dalla cintura e si lanciò contro l’uomo vestito di nero: «Ti ucciderò!»

Sfortunatamente, il suo incredibile slancio non era supportato da abbastanza abilità nelle arti marziali; non aveva importanza quanto promettente sembrasse o quanto fosse sorprendente la sua perseveranza, era goffo come un gatto a tre zampe nell’esecuzione e si notava la sua grande inesperienza. L’uomo lo disarmò con una sola mossa prima ancora che potesse mettere a segno un singolo colpo, lo colpì con il palmo della mano alla schiena ed in seguito all’addome, facendolo indietreggiare di molti metri.

Il ragazzo si rialzò, gridò di rabbia e, senza paura, si avventò di nuovo contro di lui a mani nude.

Anche il pescatore sembrò voler provare ad alzarsi, ma era così gravemente ferito che, dopo essere riuscito a sollevarsi per un po’, cadde di nuovo pesantemente a terra.

L’uomo in nero sogghignò freddamente: «Ma guarda un po’, il coniglietto cerca ancora di mordere!» schivò l’attacco in un baleno, spostandosi di lato, e piegò le dita ad artiglio con l’intenzione di dare il colpo di grazia al giovane. Al chiaro di luna, quelle dita non sembravano fatte di carne e sangue, risplendevano di una fredda luce azzurra ed erano pronte ad uccidere.

Inizialmente, Zhou Zishu non voleva fare il ficcanaso ma pensò di essere “sulla stessa barca” con il pescatore e che fosse il destino ad averli riuniti, in più quel ragazzo era ancora troppo giovane e non voleva vederlo andare incontro alla morte. Prese in mano una piccola pietra ma, prima che potesse lanciarla, all’improvviso si udì un fischio e gli occhi dell’uomo in nero si sgranarono mentre sussultava leggermente. Si gettò a terra con una capriola, rendendo vano il tentativo del ragazzo.

Nel punto in cui, fino a pochi istanti prima, si trovava l’uomo in nero, si era andata ad inchiodare un’arma nascosta (*) a forma di fiore di loto lunga un pollice.

(N/T: Arma nascosta: ànqì <暗器>, armi che sono occultate in qualche modo <spesso nascoste negli abiti del proprietario>. La loro efficacia dipende molto dall’elemento sorpresa.)

Udirono la voce delicata di una ragazza: «Osi fare il prepotente con degli anziani e un bambino debole in un tempio abbandonato nel cuore della notte? Che spudorato!»

Zhou Zishu trasalì, poiché quella voce gli era abbastanza familiare. Strinse la piccola roccia, che non aveva più lanciato, e tornò a distendersi lentamente sul suo letto di fortuna per osservare in silenzio quella svolta inaspettata nella situazione.

Le labbra dell’uomo in nero si contrassero ed i suoi occhi si sgranarono all’improvviso, Zhou Zishu pensò che fosse a causa della cicatrice che si era allargata sul suo volto. Si irrigidì, come se gli fosse appena venuto un ictus. C’era qualcosa di ridicolo nella sua ferocia, quando disse con rabbia: «Dove sei, sgualdrina?»

Guardò con attenzione e vide la figura di una ragazza sorridente vestita di viola comparire davanti alla porta. Zhou Zishu la riconobbe come quella che aveva minacciato di avvelenarlo quel giorno ed ebbe il presentimento che fosse destinato a dover vivere quell’avventura, dal momento che aveva già incontrato in precedenza la metà delle persone presenti in quel tempio.

Non sapeva dove fosse andato il padrone della ragazza, ma egli non si vedeva da nessuna parte. La giovane inclinò la testa, appoggiandosi alla porta con un’espressione innocente, e si sfregò leggermente una guancia con la punta del dito indice, continuando a sorridere: «Sgualdrina? Vecchio bastardo spudorato, non ti vergogni? Come osi venire qui a prendertela con degli anziani e un bambino, senza risparmiare nemmeno una persona che sta già morendo?»

Quando sentì quelle parole, il pescatore, la persona che “stava morendo” e che imprecava con rabbia a destra e a manca solo fino a poche ore prima, era crollato a terra in silenzio come se fosse davvero morto, incapace di emettere alcun suono.

Traduzione: valeria99

Revisione: SailorSaturn98


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